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Genova

Avevo un ricordo di Genova di tanti anni fa. Facevo il milite ignoto a Pavia e anziché piangere e correre a casa a ogni minimo permesso come faceva più della metà degli occupanti della caserma, ne approfittavo per conoscere quello che potevo raggiungere dalla caserma.

Pavia è sulla linea ferroviaria Milano Genova, niente di meglio per uno come me che al minimo rumore di treno prende e parte.

Genova ha il suo fascino e allora, quando mi avventuravo per i caruggi, era decisamente peggio di oggi. Parecchio.

Ora ci abbiamo passato tre giorni.

Alla fine l’ho trovata ordinata, pulita quanto basta, di molto meglio la città che la stanza che avevamo preso.

Il centro, bello e vivace.

I caruggi poi sono sicuramente cambiati.

Tolti i vicoli bui dove ho intravisto più tette in attesa che mattoni, la maggior parte ormai sono a uso e consumo del turista. Un’altra città dei balocchi.

Vedere navi gigantesche ormeggiate vomitare fuori fiumi di persone dirette verso il centro e l’acquario tipo cavallette alla ricerca di cibo non è bello, porta soldi si, ma fa diventare tutto più snaturato e dozzinale. Ti fa passare la voglia di stare li.

Certo, la viabilità è quello che è: pure il navigatore per cercare di portarmi alla torre è riuscito a farmi infilare nella dogana. Il doganiere aveva la faccia di quello che ha visto la stessa scena ripetersi non si sa quante volte.

Cerchi il mare? meglio che ti allontani dalla città. Parliamo sempre di uno dei porti più importanti d’Italia. Al massimo puoi fare collezione di tipi di natante, di ogni ordine e misura.

E poi c’é l’acquario. Merita un pensiero a parte.

Pappa: cacchio se ho mangiato bene. Non mi dilungo.

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E poi?

Numeri impressionanti.

Quelli dei migranti in arrivo da sud e dalla frontiera con l’est.

Numeri fuori scala.

Tutti diretti in Europa. L’Italia è solo un punto di transito. Chi arriva, vivo, ha qualche chance di proseguire verso Nord.

E in mezzo a tanto caos, ecco lo zoo dei politici pronti a partecipare a loro modo allo spettacolo mediatico. Di corsa tutti a pavoneggiarsi in mezzo alla tragedia. Perfino i burocrati Europei di fretta a sbarcare in grande spolvero.

E dopo tanto clamore, di nuovo il silenzio, il sotto le righe.

Ma tutta questa gente che fine fa? Non parliamo di quattro gatti spellacchiati, parliamo di centomila e passa persone solo quest’anno che non è nemmeno ancora finito.

Impossibile tenerli tutti nei vari Hotspot, sono troppi, mangiano, consumano, cagano. Non c’è modo di tenerli assieme. Da qualche parte dovranno pure andare. Il loro sogno è l’europa, la Francia, la Germania. Hanno parenti, famiglia, quella è la loro meta. Solo una piccola parte resta da noi, quella sfigata che non non riesce ad andare avanti o che alla fine della fiera gli conviene restare qua.

FastForward.

Stamattina, Stazione Tiburtina, direzione centro, lungo via Tiburtina, sotto le mura.

Fino a qualche settimana fa, i numeri erano di molto più bassi. Non c’era quello che ho visto stamattina.

Tanti ragazzi accampati alla meno peggio. Chi ancora dormiente, chi si sta lavando, chi ripone la coperta, l’unica in suo possesso, chi si sta lavando i denti, chi ottempera alle proprie necessità dietro un camioncino dell’AMA.

Gruppi che camminano verso il centro.

Dove vanno?

Ma soprattutto: è questa l’accoglienza? Li sbarchiamo, gli diamo una bottiglietta d’acqua e poi via, abbandonati tanto non servono al teatro della grande politica e della TV che ce li ripropina sempre nello stesso modo senza un attimo indagare sul cosa, come , quando, chi, perché….

Sembra non considerarli nemmeno esseri umani. Animali da circo da proporre tra una pubblicità e l’altra. E lo stesso, ho la sensazione, vale per la politica: pura merce tra una nazione e l’altra. Nulla di più.

C’è qualcosa di profondamente malato.