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E poi?

Numeri impressionanti.

Quelli dei migranti in arrivo da sud e dalla frontiera con l’est.

Numeri fuori scala.

Tutti diretti in Europa. L’Italia è solo un punto di transito. Chi arriva, vivo, ha qualche chance di proseguire verso Nord.

E in mezzo a tanto caos, ecco lo zoo dei politici pronti a partecipare a loro modo allo spettacolo mediatico. Di corsa tutti a pavoneggiarsi in mezzo alla tragedia. Perfino i burocrati Europei di fretta a sbarcare in grande spolvero.

E dopo tanto clamore, di nuovo il silenzio, il sotto le righe.

Ma tutta questa gente che fine fa? Non parliamo di quattro gatti spellacchiati, parliamo di centomila e passa persone solo quest’anno che non è nemmeno ancora finito.

Impossibile tenerli tutti nei vari Hotspot, sono troppi, mangiano, consumano, cagano. Non c’è modo di tenerli assieme. Da qualche parte dovranno pure andare. Il loro sogno è l’europa, la Francia, la Germania. Hanno parenti, famiglia, quella è la loro meta. Solo una piccola parte resta da noi, quella sfigata che non non riesce ad andare avanti o che alla fine della fiera gli conviene restare qua.

FastForward.

Stamattina, Stazione Tiburtina, direzione centro, lungo via Tiburtina, sotto le mura.

Fino a qualche settimana fa, i numeri erano di molto più bassi. Non c’era quello che ho visto stamattina.

Tanti ragazzi accampati alla meno peggio. Chi ancora dormiente, chi si sta lavando, chi ripone la coperta, l’unica in suo possesso, chi si sta lavando i denti, chi ottempera alle proprie necessità dietro un camioncino dell’AMA.

Gruppi che camminano verso il centro.

Dove vanno?

Ma soprattutto: è questa l’accoglienza? Li sbarchiamo, gli diamo una bottiglietta d’acqua e poi via, abbandonati tanto non servono al teatro della grande politica e della TV che ce li ripropina sempre nello stesso modo senza un attimo indagare sul cosa, come , quando, chi, perché….

Sembra non considerarli nemmeno esseri umani. Animali da circo da proporre tra una pubblicità e l’altra. E lo stesso, ho la sensazione, vale per la politica: pura merce tra una nazione e l’altra. Nulla di più.

C’è qualcosa di profondamente malato.


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Quello che abbiamo perso

Vacanze Romane, 1953. Settant’anni. Gregory Peck e Audrey Hepburn.

Film splendido. Tempi magici che sarebbero diventati icona con “La dolce vita” del 1960.

Una Roma diversa, di parecchio. La si ritrova ancora, raramente, ad orari improbabili, nei vicoli del centro, quando le mandrie non sono ancora uscite, quando le attività commerciali ancora non hanno iniziato a macinare.