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L’Aquila, la storia continua

Dopo un primo tentativo non proprio riuscito con il mesto ritorno a casa dopo essere rimasti appiedati con la macchina guasta, eccoci di nuovo tra le vie Aquilane.

Terza puntata.

Voglio vedere l’Aquila a tredici anni dalla tragedia e a sei dall’ultima volta. Stavolta si parte dalla Rocca Spagnola, splendido esempio di architettura militare ai tempi della dominazione, per l’appunto, spagnola.

Piano piano, rispetto anche all’ultima volta, i cambiamenti sono tanti. L’Aquila, lentamente viene tirata a lucido e rimessa a nuovo.

A partire da palazzo Ardinghelli, la sede aquilana del Maxxi, il primo tentativo di riportare l’arte in una città che ha sofferto e che soffre tuttora.

La vita ritorna, anche se ci vorranno anni per chiudere tante ferite che ancora sono aperte e sanguinanti.

La piazza e le vie principali affollate di gente a passeggio, di ragazzi e turisti, in qualche punto pure un po’ stretti tra impalcature e pannelli di protezione, ma la giornata è splendida, si sta bene e non si può restare al chiuso con questo autunno che nonostante tutto riserva ancora bellissime giornate.

Certo, ci sono cantieri praticamente ogni due metri.

Ma pure delle splendide chicche.

E se non bastasse la strada con i suoi bandoni, ci sono i ricordi voluti, i simboli a memoria di quanto è successo e di quanto preziose vite abbiamo perso.

Nella chiesa delle Anime Sante, proprio accanto al duomo, una piccola cappella ci ricorda, nome per nome, foto per foto, tutte le persone che nella notte del 2009 non sono sopravvissute. Una cappella piccolissima, non ci si riesce a stare in più di tre o quattro persone, ma strabordante di memoria.

Nella zona della casa dello studente, invece, il parco della memoria, un luogo simbolico con una fontana e un obelisco, i nomi scolpiti, gli alberi, a ricordarci la tragedia e la vita che riprende.

Che strano, arrivare in questo parco (tra l’altro Google ti manda a qualche centinaio di metri a qualcosa che non c’entra nulla) e vedere il monumento al centro tra una costruzione modernissima, e di lato una casa chiusa, con mille crepe, ferma così da chissà quanti anni.

Girando per altri vicoli, invece, ci sono ancora tante cose da fare, tantissime. C’è tanto da rimettere a posto e nonostante siano passi tredici anni, non si sa quanti altri ce ne vorranno per chiudere tutto questo disastro.

E purtroppo, cosa grave assai, accanto alle vecchie sofferenze se ne aggiungono di nuove proprio non volute.

Menzione a parte la Basilica di Santa Maria di Collemaggio. Nel 2009 la basilica ha subito gravissimi danni. Oggi, dopo tanti anni di lavori e restauri, è tornata con tutta la sua forza e la sua energia.

Tutte le volte che in questi anni ho sfiorato l’Aquila, da fuori, dall’autostrada, a parte la selva di gru, alla fine non è che si vedeva bene il dramma e la distruzione che la città ha subito. Bisogna uscire dall’autostrada e entrare in centro per sentirsi presi da un pugno allo stomaco.

Piano piano le cose stanno tornando, ma ancora la strada è lunga.

Piccola nota che mi ha colpito: in qualche modo, ho avuto la sensazione di una città troppo asettica, tutto nuova, pulita e tirata a lucido. Ci sta, la città, o meglio il centro, è rinata solo in questi ultimi anni. C’e’ stata anche la pandemia che proprio non ha aiutato. Prima, gli intonaci vecchi accanto ai nuovi, le crepette, le finestre diverse, le vernici di diversa tonalità, la storia e la polvere accumulate sulle pareti, dava vitalità, carattere e energia a tutta la città. Ora, tutto così nuovo e fresco richiederà molti anni prima che il tempo rifaccia il suo lavoro e riporti alla città quelle rughe e quel fascino che solo il girare delle lancette sa imprimere sperando che nel frattempo le ferite si siano rimarginate e che la memoria si sia fatta forte e possa di conseguenza promuovere solo il miglioramento per fare onore a ciò che si è perso.

Ma ora si è fatta una certa. Vado a mangiare mentre rimugino sugli scatti e sui ricordi che avevo incamerato tantissimi anni fa nelle peregrinazioni in giro per l’aquilano, talmente lontani ma così vicini nel tempo.